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di Silio Rossi – Consigliere USSI Roma

Poche ore fa ci ha lasciati Gianfranco Giubilo un grande giornalista, un fuoriclasse, un compagno di viaggio e aiutante di campo come ce ne sono stati pochi e pochi ce ne saranno. Punto di riferimento per una professione che pretendeva entrasse nel sangue di quanti la inseguivano e riuscivano a conquistarla.
Per me è stato un fratello maggiore, un quotidiano stimolo perché ogni giorno migliorassi grazie ai suoi consigli e all’aiuto che non mi è mai mancato.
A Il Tempo era entrato poco più che ventenne, “con i calzoni corti” gli dicevamo per sfotterlo, seguendo il padre, grande capo del servizio stenografico e due fratelli professionalmente eccezionali: Giorgio detto “il capostipite”, primo figlio della “dinastia” zeppa di giornalisti, destinato allo sport e Alberto, il più grande “cantore” di tutti i tempi su quanto accadeva nel mondo dell’ippica e non solo.
Per Gianfranco faceva testo il giudizio degli “anziani” di allora. Marcello Zeri, l’uomo che aiutò il senatore Renato Angiolillo a fondare il giornale nel 1944, capì e lo riferì senza riserve, che Giubilo “era fatto per quel mestiere”, grazie alla facilità con la quale sapeva gestire il controllo delle pagine e come, con le agenzie in mano, sapeva valutare le notizie di maggior spessore. Oltre alla scioltezza di quei testi che scriveva, mai banali e sempre accompagnati da un ottimo italiano e da una perfetta visione delle cose. Fossero di politica, di economia, fosse un esame dei problemi sindacali o una larga panoramica su tutto quello che che avveniva nel mondo sportivo, di cui sapeva tutto ed era un piacere starlo a sentire e con lui discuterne.
Per me è stato più di un maestro. Un fratello sin dai primi giorni che ho iniziato a frequentare la redazione sportiva in cerca di spazio e di un contratto.
Gran parte della mia vita professionale a Il Tempo l’ho passata accanto al “biondo”, così lo chiamavamo tutti, grazie a quella capigliatura chiara che rendeva giustizia alla sua età e ad un fisico sempre curato e tenuto in forma da una costante attività sportiva.

Insieme abbiamo lavorato ai mondiali spagnoli, a quelli messicani, a tutte le gare interne ed esterne della Roma nella Coppa dei Campioni, perduta all’Olimpico ai calci di rigore, agli Europei del 1988, e ovviamente ai mondiali del ’90 e a quelli americani del 1994.
Con Gianfranco ho girato il mondo dando vita ad una coppia professionale affiatatissima che lui ha voluto restasse inalterata e che a me giovava immensamente perché la sua bravura più volte era messa a mia disposizione.
Soltanto una volta ci siamo arrabbiati. Era il 1990. A Marino, nel corso di un allenamento degli azzurri, si presentò l’Avvocato Agnelli. “Per una chiacchierata”, ci disse Antonello Valentini che lo presentava al gruppo dei giornalisti al di là della rete del campo. La “chiacchierata” durò due ore ritardando, ovviamente, la trasmissione dei pezzi ai giornali. Gianfranco telefonava ogni dieci minuti per conoscere la situazione. Alla quarta chiamata gli risposi un po’ seccato: “Gianfrà – gli dissi – se continui a telefonà i pezzi te li scrivi da solo o li avrai domani mattina”. Mi riferirono che se l’era presa perché proprio da me non s’aspettava una reazione così forte. E per cinque minuti, passeggiando all’interno della redazione sportiva non faceva altro che ripetere: “Io cor piccoletto non ce parlo più”.
Oggi è proprio quel piccoletto, pieno di ricordi e di rimpianti che ti saluta con l’affetto che non s’è mai esaurito e con la gratitudine per avermi insegnato a vivere e a fare il giornalista.

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